Anche se ufficialmente la notte di Halloween non rientra tra le nostre festività e nonostante l’atmosfera austera di questo periodo, già da qualche settimana nei negozi e in molte strade si incontrano decorazioni che ci rimandano a streghe, mostri, zucche, candele, ragni, zombie…
Anche in associazione già da qualche giorno i laboratori si colorano con i simboli che rievocano questa festività! Ma cosa significa realmente la festa di Halloween? Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi. Forse non tutti sanno infatti che la festa di Halloween non nasce in America ma ha origini antichissime rintracciabili in Irlanda, quando era dominata dai Celti. Per queste popolazioni che vivevano essenzialmente di pastorizia e agricoltura, la notte del 31 ottobre era una notte particolare del Calendario Celtico: la festa di Semhain, il Capodanno.
I Celti, come altri popoli antichi, vivevano con una maggior connessione con la Natura e misuravano il tempo in base alle stagioni e ai cicli del raccolto festeggiando dunque ogni momento di passaggio ad essi associati.
Tra le diverse feste, Semhain era quella che segnava la fine dell’estate, l’inizio dell’inverno e allo stesso tempo sanciva l’ultimo raccolto prima dell’inizio della stagione fredda. In quell’occasione i Celti erano soliti mettere da parte le provviste per superare il freddo inverno nordico e fare un momento di raccoglimento per onorare la trasformazione che il passaggio inevitabilmente avrebbe segnato.
In questo frangente, i Celti credevano che la parete che divideva il Regno dei Morti da quello dei Vivi si assottigliasse e che i due mondi potessero entrare tra loro in comunicazione. Questa connessione profonda tra le due dimensioni, col tempo diede il carattere mortuario alla festa di Semhain tanto da vederla oggi associata ad un momento per onorare i defunti.
In passato il contatto con la natura era fondamentale e il calendario, prima lunare, poi gregoriano, scandiva gli eventi pagani e poi cristiani che davano il ritmo e il senso all’esistenza umana attraverso dei rituali che sancivano dei momenti di passaggio, di rinnovamento e di contatto con alcune parti di sé fondamentali all’equilibrio interiore.
Ecco che Halloween, onorando l’estate che cede il posto all’autunno, l’inizio del riposo dei campi, diventa la notte simbolo di un rinnovamento interiore, di un cambiamento reale dentro di noi, un’occasione per “lasciar andare” il vecchio, ciò che ha fatto il suo corso e accogliere il nuovo.
Mai come adesso, in una società eccessivamente frenetica, tecnologizzata e lontana dagli aspetti naturali, mai come in questo momento storico in cui tutti stiamo combattendo un nemico invisibile che ci riporta al tema della morte, della precarietà della vita, diventa fondamentale riappropriarsi di quei ritmi che ci aiutavano, attraverso il rito, ad entrare dentro parti di noi che adesso ci terrorizzano.
Nelle società rituali del passato, compresa quella cristiana, non si era mai soli nei momenti catartici di passaggio: i rituali comunitari aiutavano ad esorcizzare le paure più profonde e in questo modo collettivo, gli uomini sentivano di far parte di un contesto più ampio, di un tutto.
Proviamo dunque anche noi a celebrare il momento di passaggio che stiamo per vivere coinvolgendo da un lato i nostri piccoli con delle attività che permettano loro di realizzare piccole decorazioni temporanee per le nostre case… dall’altro pensiamo a noi adulti e alla realizzazione di una cena che ci porti ad onorare il momento con un pasto che ci nutra nel profondo, fin dalla sua realizzazione.
Apriamo la nostra dispensa, diamo un’occhiata alle confezioni di pasta aperte che abbiamo, ai legumi, alle verdure rimaste nel nostro frigorifero o nel nostro congelatore… e proviamo a pensare ad una zuppa che pulisca le nostre credenze e, facendo spazio, ci metta nella condizione di accogliere il nuovo. Se abbiamo della zucca, tipica della stagione, potremmo realizzare una vellutata ad esempio… o anche un minestrone… guardiamo a ciò che abbiamo e pensiamo a come combinarlo. Non sarà importante il risultato in sè, ma il come, il tempo della sua realizzazione e il momento della sua condivisione.